Scrittura

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Cave
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Scrittura

Messaggio da Cave »

Come già accennato in un altro post, mi piace scrivere e sarei curiosa di sapere se qualcun altro qui condivide questo interesse. :mrgreen:
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Cane
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Re: Scrittura

Messaggio da Cane »

Oltre a non scrivere leggo poco... :cry:

Complimenti per la tua passione... ;)
Paolo ... Nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti...(L.Pirandello)
4x16
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Re: Scrittura

Messaggio da 4x16 »

Io non scrivo ma leggo molto! Ora sto leggendo "cent'anni di solitudine" e prima di questo "il vecchio e il mare"
Ma anche i miei eroi sono poveri, si chiedono troppi perché
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DaniLao
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Re: Scrittura

Messaggio da DaniLao »

Siamo tutti ottimi lettori (tempo addietro ci siano pure accapigliati su carta o lettori tecnologici), se c’è qualcosa di tuo che si possa leggere online perché -se ti va- non ce lo proponi?
Quaestio subtilissima, utrum Chimera in vacuo bombinans possit comedere secundus intentiones, et fuit debatuta per decem hebdomadas in concilio Constantiensi
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Cave
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Re: Scrittura

Messaggio da Cave »

Vi propongo due brevissimi racconti scritti tempo fa: "A" e "Il ragazzo con gli occhiali".
Mi farebbe piacere conoscere l'opinione dei lettori :)

"A"

Il non più giovane Ariel Samuel Spiegel scorreva lo sguardo sui fogli sparsi sul tavolo da lavoro. La sua mente percepiva quell’ammasso di carta come un’amata che lo avrebbe abbandonato per sempre; dalla poppa della nave in partenza, la donna sventolava con eleganza un fazzoletto bianco ricamato, mentre Ariel seguiva il movimento ondulato della stoffa che adesso si confondeva con le onde del mare, per poi svanire insieme a quella visione. Scosse la testa per scacciare i resti del sogno e si strofinò gli occhi, già arrossati, forse per il poco sonno, certamente per la commozione. Gettò uno sguardo all’orologio, erano le nove passate. Si rimboccò le maniche, gesto che innescò il triste conto alla rovescia verso il pensionamento.
Eccolo lì, qualche ora dopo, durante la pausa pranzo. I colleghi avevano organizzato una piccola festicciola di fronte alle macchinette automatiche e Ariel era stordito dal cicaleccio delle chiacchiere di circostanza. Stanco di quelle bocche senza freni, abbandonò il proprio corpo in preda alle ciance e se ne volò via; pensò di nuovo alla sua fidanzata cartacea da cui presto avrebbe dovuto prendere congedo.
Tornò in ufficio con la testa ancora fra le nuvole. Si soffermò sulla soglia per ammirare quel panorama documentario e vide una piccola busta che prima non aveva notato. Era ingiallita e rovinata ai lati, portava qualche segno di bruciatura. Forse è sopravvissuta ad un tentativo di distruzione – pensò Ariel, già lavorando di fantasia sulle probabili avventure che l’avevano condotta fino alla sua scrivania. La aprì, facendo scivolare delicatamente il contenuto sul palmo della mano. Una chiave. Cosa apriva? Quali segreti, o tesori, custodiva? Gli tornò alla mente la prima lezione universitaria sull’archivio thesaurus. Perso fra i ricordi, lasciò la presa e la chiave cadde a terra. Il punto in cui si trovava adesso era ben illuminato e Ariel poté individuare un’incisione sull’impugnatura: A. Si guardò intorno alla ricerca di una serratura che potesse combaciare, ma non trovò niente; nessuna scatola, scrigno, cassetta o lucchetto. La sua curiosità stava diventando incontenibile. Corse in segreteria, sperando che potessero avere qualche informazione. Smaniava all’idea di svelare il mistero della chiave. L’ufficio era deserto, tutto sembrava in ordine, fatta eccezione per l’armadietto; l’anta di uno scomparto era aperta. Sbirciò al suo interno: c’era un piccolo carillon. Non ci pensò due volte ed inserì la chiave, la girò e alzò il coperchio, pervaso da un irrefrenabile desiderio di sapere. Pochi attimi e la melodia lo avvolse, scavò dentro di lui fino alle ossa, dove si fermò per mettersi – lei, la melodia – in ascolto dell’anima di Ariel, che stava provando una sensazione extra corporale. Percepiva se stesso da un punto di vista esterno e superiore e al contempo era visceralmente dentro di sé, in ogni angolo recondito, in contatto con i microrganismi, con la parte concreta e con quella astratta del proprio essere. Rivisse ogni momento vissuto. Pensò di aver trovato un Aleph, come in quel racconto di Borges. Poi si ricordò di aver già sentito quella musica. “Cosa ci fa una composizione di Arvo Pärt in un antico cofanetto di legno?” Cercò di ricordare il nome. Quando ci riuscì non trattenne le risate. “Dev’essere uno scherzo. Venite fuori, farabutti! Come vi è saltato in testa questo gioco? Spiegel im Spiegel. Sono io Spiegel! Che cosa vuol dire?” Specchio nello specchio. Spiegel nello specchio. Lo specchio dentro Spiegel. Spiegel dentro Spiegel. La sua voce gli fece eco. Nessuno rispose alle accuse. Credette di trovarsi in un sogno. Forse era ancora di fronte alle macchinette automatiche, a far finta di ascoltare i colleghi, perso nella sua vita parallela fatta di assurdità, enigmi e illusioni. Forse era tutto vero e lui aveva capito di aver sprecato la propria vita, perché rivivendola ancora non gli era bastata.


"Il ragazzo con gli occhiali"

Quell’estate restò ben impressa nella memoria di tutta São Francisco. Non un solo francisqueiro ha potuto dimenticarsi della temperatura che arroventava le strade della città. Si passavano i pomeriggi di siesta a discorrere sulla possibilità di cuocere le pietanze direttamente sui sampietrini della piazza maggiore. Chissà poi se una diceria si è trasformata in cronaca, ma fatto sta che la signora Do Carvalho, correndo in fretta e furia verso casa – in uno di quei pomeriggi dove quasi non si respirava tanto l’aria era bollente – inciampò proprio in mezzo alla piazza e una mezza dozzina di uova, eseguendo un triplo salto mortale, dal sacchetto di carta finì per schiantarsi al suolo, con grande rammarico della signora, che aveva in mente di cucinarle bollite in acqua. La metamorfosi delle uova del supermercato in una frittata bella che fritta, con tanto di crosticina, è diventata la storia del mese, forse dell’anno. Che dire poi delle macchie di unto sulla facciata del comune: è conosciuta da tutti la loro origine americana di bacon arrostito a forza di lanci contro il muro. Un’estate di gastronomia a cielo aperto o di simpatiche leggende entrate nella memoria collettiva di un angolo di mondo provato dal caldo.

L’inserviente Mario Rui de Mendoza svolgeva il suo lavoro senza prestare troppa attenzione al mocio e fissava la luce color arancio che brillava attraverso le vetrate d’ingresso. Pensava agli agrumi, si sarebbe gustato volentieri una buona spremuta ghiacciata. Sentì la gola secca, si schiarì la voce e deglutì. I ricordi iniziarono a saltar fuori da chissà dove, da chissà quali associazioni di idee, come quei pupazzi che schizzano all’improvviso da scatole colorate. Suo cugino Tiago e l’amico pel di carota – di cui non riusciva a ricordare il nome. Non trattenne un sorriso quando richiamò alla mente l’agosto della sangria nelle botti di rovere, quando tutti e tre ne avevano spinto una, in fuga su per la collina. Il risultato di un colpaccio sferrato allo zio Guglielmo, che viveva in isolamento nella valle, eremita, produttore di vino rosso, da cui ricavava bevande rinfrescanti, che proponeva a prezzi esagerati ai malcapitati turisti di passaggio: le spacciava per pozioni dell’allegria. Il giorno dei morti: sua madre che portava sulla testa una criniera di fiori variopinti e sul volto il trucco da Calavera Catrína. Lo scintillio delle paillettes che adornavano il vestito giallo di Adelina, la sera del ballo di carnevale. Il primo amore che gli incendiò il cuore. La purezza d’animo di quella quindicenne portoghese che si sventolava con piume di pavone, ondeggiando fra i compagni. I brividi che dalla mano si facevano strada per tutto il corpo al solo toccarla e le giornate in cui tutto sapeva di lei e poteva distinguere il suo profumo sulla propria pelle. Azucena, l’ossimoro del ghiaccio nei suoi occhi e le fiamme fra i suoi capelli. La triste sorte di una storia sbagliata che ancora oggi gli inumidisce le guance e crea scompiglio fra i pensieri. I battiti aumentavano insieme alla paura per la consapevolezza che nessuna parola sarebbe servita ad evitare l’inevitabile. “Azucena ti perdono, ti perdonerò sempre!” Mentre soffocava la dignità sotto suppliche e preghiere, nel momento in cui la virilità si auto-mutilava senza indugio, lei lo fissava impietrita. Sussurrò “Mario, sei troppo buono!” e gli voltò le spalle. Quel ricordo era vivido nel palcoscenico del suo cervello. Non lo abbandonava mai il riecheggiare del penoso addio di sua moglie.
L’orologio a pendolo aveva da poco rintoccato le sette, facendo sussultare il suo piccolo corpo ricurvo intento a rimembrare le stagioni trascorse. Il museo stava per chiudere ed un giovane ragazzo, con gli occhiali dalle lenti rotonde portati a metà naso, si avvicinò al vecchio Mario Rui che aveva da poco ripreso a pulire il pavimento.
“Mi perdoni, spero di non disturbare, vorrei farle una domanda.”
“Non so in che modo potrei esserle d’aiuto, ma, prego, mi dica. Ho tutta la notte per dedicarmi al mocio.”
“La ringrazio, lei è molto gentile. Nella sala numero due s’impone l’opera di un noto artista del luogo, morto ormai da anni, oggetto della mia tesi di dottorato. Ebbene, dopo varie indagini adesso posso affermare che quell'uomo non è mai esistito in questo mondo.”
“Ah, sì? E come avrebbe potuto creare quadri da un’altra dimensione?”
“Non lo ha fatto. Quei lavori appartengono ad un altro.”
“Opere di uno pseudonimo?”
“Nient’affatto. Egli, il defunto, si è finto autore di queste opere, mentre il vero artista era nascosto!”
“Quali ragioni avrebbe avuto quest’uomo per nascondersi e far sì che altri fossero lodati per il suo merito?”
“Me lo dica lei.”
“Io? Non ero nemmeno a conoscenza di questa storia.”
“Non porti ancora avanti questo gioco. Non adesso che l’ho scoperta. Cali giù la maschera, signore. Ormai è da tempo che la osservo.”
“Cosa significa questo?”
“Il mocio è il suo attrezzo e non parlo dei pavimenti. Il suo gesto riconduce alla pennellata delle opere in questione. Non provi a contraddirmi, sono uno che se ne intende.”
“Ebbene, allora, signor saputello, provi a trovare anche le ragioni di un simile comportamento.”
“Per una donna, forse. C’è sempre di mezzo una donna.”
“Sia sincero: ha tirato ad indovinare adesso, come lo ha fatto poco fa con la storia dell’artista nascosto e del mocio.”
“Va bene. Lei mi è simpatico. Le dirò la verità, non sono nemmeno uno studente di storia dell’arte. Mi interesso di botanica.”
“E cosa l’ha spinta a trattenersi nel mio museo fino all’ora di chiusura? Spero non sia stato per burlarsi di me, altrimenti sarei costretto a considerarla un pazzo.”
“Mi avevano attratto le azalee qui fuori; poi l’ho vista al di là della porta a vetri, col suo mocio, momentaneamente astratto in chissà quali pensieri e non ho resistito: sono dovuto entrare per scherzare un po’ con lei, per riportarla nella nostra dimensione. A volte può nuocere starsene fuori troppo a lungo. Si finisce per perdere la cognizione del tempo o addirittura della realtà. Conosco un tale, si chiama Jorge, andava spesso nel mondo dei sogni e un giorno, quando è tornato, si è dimenticato di aver fatto ritorno nella vita vera e da allora va in giro in cerca del suo drago. Lo chiama a gran voce, a volte si arrabbia se non gli risponde.”
“Mi sta dicendo che a volte il drago si fa vivo ai suoi occhi?”
“Sì, ma solo lui può vederlo, fa parte dei suoi sogni, non dei nostri. Si manifesta in un’altra dimensione. È Jorge che è rimasto a metà fra la sua e la nostra.”
“Accidenti, povero ragazzo.”
“E lei, invece, dove va quando non si trova qui, in questo mondo?”
“Viaggio nel tempo.”
“Eh, i viaggi nel tempo sono i più dolorosi. Quelli fanno male all’anima. Ti restano attaccati, non te li togli più di dosso. Comunque le piante qui fuori non sono azalee, ma gigli. E io mi sto per laureare in storia dell’arte.”
“Oh, insomma, giovanotto! Lei vuole proprio farmi diventare matto!”
“O forse il matto sono io, o forse lo siete tutti quanti voi e io sono l’unico con una mente ben funzionante. Ad ogni modo, adesso devo tornare a casa, Jorge mi sta aspettando.”
“Sì, è meglio che io torni al mio lavoro. Ma mi tolga una curiosità: chi è il povero Jorge? Un suo parente?”
“Jorge è il mio drago.”
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Re: Scrittura

Messaggio da zvezda »

Cave ha scritto: 25 gen 2021, 15:16 Vi propongo due brevissimi racconti scritti tempo fa: "A" e "Il ragazzo con gli occhiali".
Mi farebbe piacere conoscere l'opinione dei lettori :)
Cave, prima di tutto grazie per il tuo bel regalo e per la tua disponibilità a metterti in gioco qui, è un gesto che apprezzo moltissimo.
Ho un paio di osservazioni "editoriali" che mi permetto di darti a titolo di suggerimento.
In primo luogo darei a ciascun racconto una sua dignità e autonomia, magari anche aprendo un topic specifico per ognuno. Non mi dispiacerebbe avere una serie di [Racconti di Cave], e credo che sarebbe una iniziativa apprezzata da molti.
Inoltre, devo dire che ho fatto una certa fatica a leggere per via del corpo carattere standard del forum. Trovandosi con 30/40 parole per riga e alcune decine di righe per pagina diventa a tratti problematico mantenere la concentrazione sul testo. Forse potresti sperimentare un corpo carattere più grande, che potrebbe essere d'aiuto al lettore.
Infine, mi sono piaciuti entrambi i racconti. Mi è piaciuto il tuo giocare con i significati delle parole in "A" e ho trovato particolarmente evocativo "Il ragazzo con gli occhiali", che mi ha ricordato le atmosfere di Donna Flor di Jorge Amado.
Insomma, un bell'esperimento che mi piacerebbe che tu ripetessi, se ti va :)
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Re: Scrittura

Messaggio da Cave »

Sono molto lusingata sia per l'apprezzamento (sono come figli e non posso che sentirmi una madre compiaciuta) che per i suggerimenti. Mi auguro che la serie di racconti possa davvero interessare e stimoli anche qualche discussione in merito (punto a far riflettere, talvolta a confondere o tento di lasciare totalmente spiazzato il lettore :twisted: ). Dunque, mi metto all'opera! :mrgreen:
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Re: Scrittura

Messaggio da DaniLao »

Ho visto ti sei già organizzata seguendo il consiglio di Marco e hai fatto benissimo.
Anche io leggerò volentieri ed è un bel regalo che fai al forum

Mi ha fatto piacere trovarmi perso tra Borges e certe atmosfere jodorowskiane in una città sudamericana (o nel Portogallo immaginario di Pessoa) anche se mi sono riproposto di rileggere con calma e spirito sereno, dunque buon proseguimento e commenterò di là
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