Novelle by Cave [n.4 Aleksej Ivanovich Prostakov] pt.1

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Novelle by Cave [n.4 Aleksej Ivanovich Prostakov] pt.1

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Aleksej Ivanovich Prostakov passeggiava spensierato per le strade moscovite, in un freddo pomeriggio di metà gennaio. Il cielo al di sopra del suo cappello malconcio era di un grigio tanto uggioso, di una noia così incontenibile che raggiunse anche l’animo del nostro Aleksej, impregnandolo totalmente di quel grigiore molesto. Non che il suo umore fosse tanto migliore, in precedenza: si sa, il tempo e l’assenza di un’occupazione portano l’uomo ad impiegare le ore in modo terribile: pensando. E così il cervello crea labirinti impossibili, elucubrazioni spaventose, minaccia la propria salute e talvolta quella altrui. Ma non era il caso di Prostakov, i pensieri della sua mente avevano il potere di nuocere soltanto il proprio fautore. Era solito viaggiare nel tempo, fino agli anni dell’Università, a tutti i Nasdrovie, tovarish! gridati nei locali, alzando bicchieri di vodka, circondato da colleghi e amici, adesso dissolti nell’aria come vapore. Gli sembrava quasi di vederli comparire in mezzo alla nebbia, quei cari compagni del passato. Le loro sagome si materializzavano per la strada, venendogli in contro, con le mani in tasca per il freddo. Magari riuscivano a farsi coraggio, alzavano un braccio, accennando un saluto; ma il più delle volte passavano oltre, silenziosi, come nella vita. Nemmeno le allucinazioni davano conforto al nostro Aleksej, povero diavolo.

Rifletteva sulle poche persone che aveva incrociato in strada, la tristezza che suscitavano le vetrine buie dei negozi, un tempo così scintillanti di luci da giocarsela con i lampioni. Per non parlare poi dei locali aperti solo per il servizio da asporto, delle chiusure anticipate e del coprifuoco. Non rammentava l’ultima volta in cui aveva cenato fuori, ricordava però le sensazioni: essere accompagnati al tavolo prenotato, accomodarsi su sedie di velluto, l’atmosfera avvolgente che pervade la sala, la meravigliosa armonia di suoni, odori e sapori, la raffinatezza del caviale sui bliny, l’insalata Olivier, i Pel’meni; tutti quei manicaretti da leccarsi i baffi…

Elaborando quest’idea, il suo stomaco sussultò. “Meglio procurarsi un boccone, prima di ritrovarsi circondato da serrande abbassate e doversi prendere il disturbo di correre a casa ad accendere i fornelli.” Qualcosa andò storto nell’esecuzione che avrebbe dovuto seguire la constatazione sulla fame, o comunque era stata presa maggiormente in considerazione un’esigenza a cui non aveva accennato; esigenza tutt’altro che necessaria, piuttosto nociva. Quel povero diavolo uscì trionfante dal negozio di alimentari, stringendo in mano una busta contenente una bottiglia di vodka e un pacchetto di crackers. Estrasse i biscottini salati, per rendersi conto soltanto adesso che si trattava della versione integrale con fiocchi d’avena. “Puah! Sembra di mangiare della segatura!” Le delusioni, per Aleksej, sembravano non avere fine, mentre il cielo di Mosca si era fatto scuro e la notte si preparava a sommergere la città. Il vento iniziò a soffiare, adagio ma gelido, ed Aleksej avvertì la sensazione di avere tanti spilli di ghiaccio infilzati in ogni parte del corpo. E questo ci porta alla giustificazione primaria che aveva dato a se stesso e al bottegaio durante l’acquisto dell’alcol. “Contro il gelido inverno russo, quale miglior arma di difesa di qualche goccetto di buona acquavite nostrana?” Il problema, con Aleksej, era che i goccetti non si fermavano mai ad uno soltanto, ma si moltiplicavano freneticamente fino al fondo della bottiglia. Il primo nemmeno lo percepiva “quest’acquavite dev’essere evaporata nel brevissimo attimo fra l’introduzione in bocca e la deglutizione!”, dal secondo poteva iniziare ad apprezzarne il gusto “ahhh questa sì che è Vodka! Non quella robaccia dei supermercati esteri!”, dal terzo godeva del fuoco che lo inondava dall’ugola in giù, fino allo stomaco, dove con un potente rimbalzo risaliva la gola e più in su fino al cervello; e da lì in poi era tutto un tracannare senza troppi pensieri.

L’ardente nettare aveva ormai reso schiavo il nostro Aleksej, totalmente dedito alla causa del girovagare notturno, ondeggiando per le deserte strade moscovite. Si trascinava incosciente dei suoi stessi movimenti e del freddo che, superando facilmente le deboli barriere di tessuto che lo ricoprivano, si era fatto strada nel suo corpo, colpendolo, scuotendolo di brividi, senza che se ne rendesse conto. In preda a spasmi, barcollando e pronunciando frasi sconclusionate, intenzionato ad inneggiare all’ottima qualità della vodka e bestemmiando contro il pessimo gusto dei prodotti integrali, procedeva diretto chissà dove e sarebbe potuto arrivare all’altro capo del mondo, se non fosse stato per il fatto che rischiava una morte per ipotermia. All’improvviso qualcosa lo afferrò con potenza per una spalla. Aleksej, nel suo delirio, pensò ad uno zombie e si portò le mani alla testa per mettere al riparo il suo povero cervello in pericolo.
[Continua]
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