Re: Situazione Ucraina
Inviato: 25 gen 2023, 13:20
Cominciano a scoprirsi gli altarini?
Dalla mailing list del Corriere della Sera
I buchi neri della guerra in Ucraina
di Massimo Nava
Sostenere le ragioni del popolo ucraino non dovrebbe impedirci di osservare i tanti punti oscuri del conflitto, oltre alle cause geopolitiche e storiche che lo hanno provocato. Questa è in buona sostanza la differenza fra democrazie e regimi, ovvero la possibilità di rompere il pensiero unico e osservare la realtà con quel cannocchiale girato dalla parte giusta che si chiama onestà intellettuale. Un’inchiesta del Sole24 ore ci conferma un fatto storico: che le guerre le decidono i potenti, le vincono i ricchi e le perdono i poveri, a prescindere da chi storicamente si intesti la vittoria. Si stima che almeno quindicimila milionari russi (non tutti oligarghi ovviamente) abbiano lasciato il Paese e che la metà dei ricchi e benestanti ucraini l’abbiano già fatto. Le mete sono sopratutto i pochi Paesi raggiungibili senza troppe formalità e in barba alle sanzioni : Georgia, Turchia, Israele e Paesi del Golfo. Ma anche l’Italia è una meta prediletta. Sopratutto gli ucraini cercano casa e rifugi tranquilli nel nostro Paese, in particolare fra Sanremo, Alassio, la Toscana, Milano e Roma.
La percentuale di proprietari ucraini in Italia è salita dall’8 al 15 per cento in pochi anni, con 4.300 compravendite. Ma il dato più interessante, secondo l’inchiesta dell’Osservatorio Luxforsale, è che mentre gli acquisti dei russi, in conseguenza delle sanzioni, sono crollati dell’87 per cento negli ultimi due anni, quelli degli ucraini sono aumentati del 780 per cento. Un reportage del New York Times ci racconta come ogni giorno carovane di tir attraversino il confine della Georgia (Paese peraltro in conflitto politico con Mosca) per portare beni di consumo in Russia. Trasportano pezzi di ricambio per auto, materiali industriali, prodotti chimici, persino la carta per le bustine di tè. Il viaggio inizia in Turchia e termina nelle città russe dove i beni occidentali sono molto richiesti. «La guerra in Ucraina ha interrotto bruscamente molti dei collegamenti commerciali della Russia con l’Europa, ma l’economia del Paese si è rapidamente adattata, trovando vie alternative per le importazioni». «È stata una guerra per molti, ma altri ne traggono profitto», ha detto Murman Nakashidze, un autista proprietario di quattro tir che sta facendo affari d’oro. Ma non c’è solo la Georgia.
La Serbia è un altro snodo. Beni di consumo e abbigliamento arrivano in Russia via Belgrado e il contenuto di molti scatoloni è made in Italy. Scrive il giornale americano : «Sebbene alcuni beni scarseggino e molte aziende occidentali abbiano chiuso le loro attività, il governo russo afferma che l’economia si è contratta solo del 3% circa lo scorso anno». Meglio che all’epoca del Covid 19. «Sebbene le prospettive di crescita rimangano deboli, non si è verificato il vero e proprio crollo che alcuni economisti avevano previsto a causa delle sanzioni occidentali». Sono dati che smentiscono l’imminente crollo del sistema e che, al contrario, confermano come la Russia si stia adattando a un’economia di guerra, peraltro di lunga durata. Secondo uno studio dell’università di San Gallo e della Business School di Losanna, citato dal Corriere del Ticino, soltanto l’8,5 per cento delle aziende di Stati del G7 e dell’Unione Europea ha effettivamente lasciato la Russia. In maggioranza si tratta di imprese americane, comunque meno del 18 per cento. Quelle giapponesi sono il 15 per cento. Interessante anche il dato delle aziende rimaste: il 19,5 sono tedesche, il 12,4 americane, il 7 per cento giapponesi, il 6,3 italiane. Secondo un’analisi di Le Monde Diplomatique, le sanzioni e il sequestro di beni di decine di oligarchi hanno avuto effetti paradossalmente positivi sull’economia del Paese in quanto hanno interrotto la fuga di capitali, in atto da trent’anni, al ritmo di cento miliardi di dollari all’anno. In altre parole, i super ricchi russi ci pensano due volte prima di depositare fondi in banche svizzere o europee.
Pierre de Gaulle, nipote del Generale, ha l’autorevolezza del cognome, ma è anche un riconosciuto consulente in strategie finanziarie, oltre a conservare la memoria di un presidente che sognava «un’Europa dall’Atlantico agli Urali», potente ed equidistante fra Stati Uniti e l’emergente potenza cinese. Ora sostiene che i Paesi europei sono di fatto alle dipendenze della Nato e di una politica sottomessa a Washington. «Che cosa resta della Francia sovrana e rispettata del mio grande nonno?». È evidentemente una voce fuori dal coro e pertanto bollato come «filorusso», ma non è il solo a sollevare questioni su cui vale la pena di riflettere. Ne ha parlato al Figaro. Primo, ha denunciato il fatto che gran parte (lui dice la metà) degli aiuti militari e finanziari all’Ucraina si perde in diversi rivoli del mercato nero e rischia di alimentare gruppi terroristici e criminali. Secondo, sostiene che gli europei per la crisi economica conseguente e gli ucraini per le distruzioni subite sono i grandi sconfitti della guerra, mentre i veri vincitori sono gli Stati Uniti che hanno moltiplicato i profitti. «Una prova ulteriore? La decisione del presidente Zelensky di affidare la gestione della ricostruzione al fondo d’investimenti americano BlackRock». Notizia peraltro confermato da diverse fonti, fra cui Bloomberg.
BlackRock Financial Markets Advisory e il Ministero dell’Economia ucraino hanno firmato un memorandum d’intesa già a novembre. Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e l’amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, hanno concordato di coordinare gli investimenti per la ricostruzione dell’Ucraina. Secondo quanto riportato dal sito ufficiale del presidente ucraino, Zelensky e Fink hanno «concordato di concentrarsi nel breve termine sul coordinamento degli sforzi di tutti i potenziali investitori e partecipanti alla ricostruzione del nostro Paese, incanalando gli investimenti nei settori più rilevanti e d’impatto dell’economia ucraina». BlackRock, uno dei maggiori gestori di investimenti al mondo, ha fornito «un supporto di consulenza per la progettazione di un quadro di investimento, con l’obiettivo di creare opportunità per gli investitori pubblici e privati di partecipare alla futura ricostruzione e ripresa dell’economia ucraina», ha dichiarato la società in un comunicato del mese scorso. Ma questo solo un aspetto del problema ricostruzione, ammesso che questa possa cominciare in tempi brevi.
I danni e le necessità sono stimati fra i 600 e i 700 miliardi di dollari a guerra ancora in corso. Il Pil dell’Ucraina è crollato del 45 per cento. Kiev vorrebbe che a pagare il conto siano sopratutto i russi. I Paesi donatori dovranno trovare un accordo su diverse ipotesi di «piani Marshall» e sui canali di finanziamento, affinché siano trasparenti il flusso in partenza e sopratutto la gestione in arrivo.
Dalla mailing list del Corriere della Sera
I buchi neri della guerra in Ucraina
di Massimo Nava
Sostenere le ragioni del popolo ucraino non dovrebbe impedirci di osservare i tanti punti oscuri del conflitto, oltre alle cause geopolitiche e storiche che lo hanno provocato. Questa è in buona sostanza la differenza fra democrazie e regimi, ovvero la possibilità di rompere il pensiero unico e osservare la realtà con quel cannocchiale girato dalla parte giusta che si chiama onestà intellettuale. Un’inchiesta del Sole24 ore ci conferma un fatto storico: che le guerre le decidono i potenti, le vincono i ricchi e le perdono i poveri, a prescindere da chi storicamente si intesti la vittoria. Si stima che almeno quindicimila milionari russi (non tutti oligarghi ovviamente) abbiano lasciato il Paese e che la metà dei ricchi e benestanti ucraini l’abbiano già fatto. Le mete sono sopratutto i pochi Paesi raggiungibili senza troppe formalità e in barba alle sanzioni : Georgia, Turchia, Israele e Paesi del Golfo. Ma anche l’Italia è una meta prediletta. Sopratutto gli ucraini cercano casa e rifugi tranquilli nel nostro Paese, in particolare fra Sanremo, Alassio, la Toscana, Milano e Roma.
La percentuale di proprietari ucraini in Italia è salita dall’8 al 15 per cento in pochi anni, con 4.300 compravendite. Ma il dato più interessante, secondo l’inchiesta dell’Osservatorio Luxforsale, è che mentre gli acquisti dei russi, in conseguenza delle sanzioni, sono crollati dell’87 per cento negli ultimi due anni, quelli degli ucraini sono aumentati del 780 per cento. Un reportage del New York Times ci racconta come ogni giorno carovane di tir attraversino il confine della Georgia (Paese peraltro in conflitto politico con Mosca) per portare beni di consumo in Russia. Trasportano pezzi di ricambio per auto, materiali industriali, prodotti chimici, persino la carta per le bustine di tè. Il viaggio inizia in Turchia e termina nelle città russe dove i beni occidentali sono molto richiesti. «La guerra in Ucraina ha interrotto bruscamente molti dei collegamenti commerciali della Russia con l’Europa, ma l’economia del Paese si è rapidamente adattata, trovando vie alternative per le importazioni». «È stata una guerra per molti, ma altri ne traggono profitto», ha detto Murman Nakashidze, un autista proprietario di quattro tir che sta facendo affari d’oro. Ma non c’è solo la Georgia.
La Serbia è un altro snodo. Beni di consumo e abbigliamento arrivano in Russia via Belgrado e il contenuto di molti scatoloni è made in Italy. Scrive il giornale americano : «Sebbene alcuni beni scarseggino e molte aziende occidentali abbiano chiuso le loro attività, il governo russo afferma che l’economia si è contratta solo del 3% circa lo scorso anno». Meglio che all’epoca del Covid 19. «Sebbene le prospettive di crescita rimangano deboli, non si è verificato il vero e proprio crollo che alcuni economisti avevano previsto a causa delle sanzioni occidentali». Sono dati che smentiscono l’imminente crollo del sistema e che, al contrario, confermano come la Russia si stia adattando a un’economia di guerra, peraltro di lunga durata. Secondo uno studio dell’università di San Gallo e della Business School di Losanna, citato dal Corriere del Ticino, soltanto l’8,5 per cento delle aziende di Stati del G7 e dell’Unione Europea ha effettivamente lasciato la Russia. In maggioranza si tratta di imprese americane, comunque meno del 18 per cento. Quelle giapponesi sono il 15 per cento. Interessante anche il dato delle aziende rimaste: il 19,5 sono tedesche, il 12,4 americane, il 7 per cento giapponesi, il 6,3 italiane. Secondo un’analisi di Le Monde Diplomatique, le sanzioni e il sequestro di beni di decine di oligarchi hanno avuto effetti paradossalmente positivi sull’economia del Paese in quanto hanno interrotto la fuga di capitali, in atto da trent’anni, al ritmo di cento miliardi di dollari all’anno. In altre parole, i super ricchi russi ci pensano due volte prima di depositare fondi in banche svizzere o europee.
Pierre de Gaulle, nipote del Generale, ha l’autorevolezza del cognome, ma è anche un riconosciuto consulente in strategie finanziarie, oltre a conservare la memoria di un presidente che sognava «un’Europa dall’Atlantico agli Urali», potente ed equidistante fra Stati Uniti e l’emergente potenza cinese. Ora sostiene che i Paesi europei sono di fatto alle dipendenze della Nato e di una politica sottomessa a Washington. «Che cosa resta della Francia sovrana e rispettata del mio grande nonno?». È evidentemente una voce fuori dal coro e pertanto bollato come «filorusso», ma non è il solo a sollevare questioni su cui vale la pena di riflettere. Ne ha parlato al Figaro. Primo, ha denunciato il fatto che gran parte (lui dice la metà) degli aiuti militari e finanziari all’Ucraina si perde in diversi rivoli del mercato nero e rischia di alimentare gruppi terroristici e criminali. Secondo, sostiene che gli europei per la crisi economica conseguente e gli ucraini per le distruzioni subite sono i grandi sconfitti della guerra, mentre i veri vincitori sono gli Stati Uniti che hanno moltiplicato i profitti. «Una prova ulteriore? La decisione del presidente Zelensky di affidare la gestione della ricostruzione al fondo d’investimenti americano BlackRock». Notizia peraltro confermato da diverse fonti, fra cui Bloomberg.
BlackRock Financial Markets Advisory e il Ministero dell’Economia ucraino hanno firmato un memorandum d’intesa già a novembre. Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e l’amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, hanno concordato di coordinare gli investimenti per la ricostruzione dell’Ucraina. Secondo quanto riportato dal sito ufficiale del presidente ucraino, Zelensky e Fink hanno «concordato di concentrarsi nel breve termine sul coordinamento degli sforzi di tutti i potenziali investitori e partecipanti alla ricostruzione del nostro Paese, incanalando gli investimenti nei settori più rilevanti e d’impatto dell’economia ucraina». BlackRock, uno dei maggiori gestori di investimenti al mondo, ha fornito «un supporto di consulenza per la progettazione di un quadro di investimento, con l’obiettivo di creare opportunità per gli investitori pubblici e privati di partecipare alla futura ricostruzione e ripresa dell’economia ucraina», ha dichiarato la società in un comunicato del mese scorso. Ma questo solo un aspetto del problema ricostruzione, ammesso che questa possa cominciare in tempi brevi.
I danni e le necessità sono stimati fra i 600 e i 700 miliardi di dollari a guerra ancora in corso. Il Pil dell’Ucraina è crollato del 45 per cento. Kiev vorrebbe che a pagare il conto siano sopratutto i russi. I Paesi donatori dovranno trovare un accordo su diverse ipotesi di «piani Marshall» e sui canali di finanziamento, affinché siano trasparenti il flusso in partenza e sopratutto la gestione in arrivo.