TRUMP E L'EUROPA AD UN PASSO DAL COLLASSO

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Re: TRUMP E L'EUROPA AD UN PASSO DAL COLLASSO

Messaggio da finestraweb »

wilcoyote ha scritto: 30 giu 2025, 9:37 [...]
Ma non è così facile. Messa alle corde, l’amministrazione degli Stati uniti potrebbe giocarsi il tutto per tutto: caricare il debito sui vassalli, esortarli a tagliare ancora il welfare per il riarmo e mobilitarli per ripristinare il dominio occidentale sul mondo. Una nuova pax americana, più che mai nel sangue.
[...]
La decisione di destinare il 5% del PIL alla difesa è per comprare anche armi americane, compiacendo gli USA.
Se la cosa potrebbe essere un prezzo da pagare non voluto, una sorta di dazio, il brutto è che i governanti nostrani la giustificano come una necessità concreta e per farlo raccontano di una Russia pronta ad invaderci.
"Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre" - Albert Einstein
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wilcoyote
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Re: TRUMP E L'EUROPA AD UN PASSO DAL COLLASSO

Messaggio da wilcoyote »

NEL BASSO IMPERO.
Pensare agli Stati Uniti di oggi mi suggerisce un'analogia: gli anni del tracollo dell'Impero Romano.
Roma, avendo assunto il controllo dell’intero bacino del Mediterraneo e improvvisandovi una sorta di primissima globalizzazione, avesse anche spazzato via la propria classe media. Il massiccio afflusso in Italia di grano, manufatti e schiavi aveva mandato in rovina i contadini e gli artigiani in maniera non dissimile da come la classe operaia americana è crollata di fronte all’afflusso di merci cinesi. In entrambi i casi, volendo un po’ forzare la mano, è emersa una società polarizzata tra una plebe economicamente inutile e una plutocrazia predatrice.Ieri ci provò Menenio Agrippa a galvanizzare le masse plebee. Oggi è il paradosso trumpista dell'American First che prova a parlare ai frustrati nostalgici di un'America che non c'è più e che, viceversa, vede la ricchezza transitare sempre più dalla middle class verso ricconi come Musk o Bezos. La via verso una lunga decadenza è quindi ormai segnata e, malgrado qualche sussulto, appare inevitabile.
Ovviamente ci sono anche le differenze. Oggi gli USA hanno altri grandi competitors: la Cina, la Russia, l'India. Roma non aveva rivali significativi, se non interni. Il Cristianesimo è stato deflagrante per l'impero. Ha saputo intercettare sia il disagio dovuto alla decadenza dei costumi, sia valori positivi come l'ugualitarismo, la giustizia sociale, il superamento dello schiavismo; così come, in epoca medioevale fu forza di governo, dall'epoca carolingia in poi.
Ugualmente il protestantesimo, come giustamente attesta Max Weber, ebbe un ruolo cruciale nello sviluppo del capitalismo e come strumento di regolazione dei rapporti sociali.
Ma tutto questo è divenuto residuale. Sia il cattolicesimo romano che il protestantesimo, nelle sue multiformi declinazioni, hanno smesso di essere forze attratteve e "lumen gentium". Hanno un peso ancora di una certa importanza nel Terzo Mondo; soprattutto in Africa e in America Latina.
Anche l'idea di Nazione che, a suo modo, da fine Ottocento a buona parte del Novecento ha contribuito a determinare una certa fisionomia degli stati pare superata. Ha avuto senso con l'autarchia o comunque fino a quando la nazione era in grado di manifestare un certo equilibrio nella bilancia dei pagamenti e, dunque, una forte autosufficienza. Cosa che, la "tigre di carta", non ha più nei suoi fondamentali economici e di scambio. Non a caso Trump sfodera l'espediente dei dazi, per cercare di mettere una "pezza" su di un sistema lacerato (Musk fonda un partito, con l'intento dichiarato di contrapporsi a Trump, che sta portando, secondo lui, gli USA alla bancarotta)
Dunque, al di là delle apparenze, la forza e la debolezza degli uni e degli altri nella geopolitica planetaria che si sta ridisegnando metterà a nudo quegli aspetti carsici ora visibili solo a chi ha occhi e strumenti per guardare, oltre le apparenze.
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DaniLao
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Re: TRUMP E L'EUROPA AD UN PASSO DAL COLLASSO

Messaggio da DaniLao »

In pratica: ricatto, paura, noi compriamo armi e energia e lui ci abbassa la tassa ma solo un po’.
Chi ha vinto?
Quaestio subtilissima, utrum Chimera in vacuo bombinans possit comedere secundus intentiones, et fuit debatuta per decem hebdomadas in concilio Constantiensi
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wilcoyote
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Re: TRUMP E L'EUROPA AD UN PASSO DAL COLLASSO

Messaggio da wilcoyote »

Dalla newsletter del Corriere della Sera

I nodi dell'accordo tra Ue e Usa sui dazi

I dazi ci sono, l’accordo invece no.


Federico Fubini, con sintesi micidiale, riassume così il «più grande deal mai concluso» annunciato domenica dal presidente americano Donald Trump: quello sui dazi tra Stati Uniti e Unione europea. L'annuncio dell'intesa, fatto con Ursula von der Leyen durante la visita di Trump in uno dei suoi campi da golf in Scozia, lascia infatti molti dettagli cruciali da definire. Si sa che l'accordo prevede dazi — cioè tasse all'importazione pagate dagli americani quando acquistano prodotti europei — del 15% su circa il 70% delle merci made in Ue importate negli Stati Uniti. E che il restante 30% è ancora oggetto di ulteriori decisioni e negoziati. Von der Leyen ha affermato che le due parti hanno concordato l'azzeramento dei dazi su una serie di beni «strategici»: aeromobili e parti di aeromobili, alcuni prodotti chimici, apparecchiature per semiconduttori, alcuni prodotti agricoli e alcune risorse naturali e materie prime critiche. La presidente della Commissione Ue ha affermato anche che le due parti «continueranno a lavorare» per aggiungere altri prodotti all'elenco. L'intesa prevede inoltre che le aziende dell'Unione Europea acquisteranno, secondo quanto affermato da Trump, 750 miliardi di dollari (638 miliardi di euro) di gas naturale, petrolio e combustibile nucleare in tre anni per sostituire le forniture energetiche russe da cui l'Europa intende comunque uscire. E che le aziende europee investiranno altri 600 miliardi di dollari (511 miliardi di euro) negli Stati Uniti.

Il 15% è meno del 30% minacciato da Trump a partire dal primo agosto, ma è tre volte quanto veniva pagato finora sui prodotti europei. Inoltre mancano tutti i dettagli e non è chiaro quali prodotti verranno esentati, perché come spiega Giuseppe Sarcina, un testo scritto ancora non c'è e i negoziatori sono ancora al lavoro su molti elementi. Qui trovate l'approfondimento su tutti i punti da chiarire.

Spiega ancora Federico Fubini:
Purtroppo un’occhiata al poco che per ora si sa non rafforza la credibilità dell’intesa. In cambio della concessione di dazi appena al 15% anziché al 30% su gran parte dell’export verso l’America — contro dazi di Bruxelles quasi a zero — l’Unione europea si impegna a comprare prodotti energetici statunitensi per 750 miliardi di dollari. In tre anni. Ha senso? L’analista GaveKal Research calcola che l’intero export mondiale di gas e petrolio degli Stati Uniti vale 141 miliardi di dollari l’anno ai prezzi attuali; l’Europa non arriverebbe a spendere neppure duecento miliardi anche se comprasse dagli Stati Uniti reattori modulari e combustibile nucleare, mentre il campione americano del settore Westinghouse già fatica a tener dietro agli ordini nel proprio Paese. Ma vediamo la stessa «promessa» di von der Leyen dall’Italia: per fare la propria parte nel «deal», il Paese dovrebbe spendere 30 miliardi di euro l’anno per comprare il gas solo dall’America e solo in forma liquefatta; tuttavia abbiamo già vari contratti pluriennali o pluridecennali aperti Algeria, l’Azerbaigian e Norvegia, quindi dovremmo comunque pagare i fornitori di quei Paesi anche se non ritirassimo il loro prodotto.
In sostanza, questa parte dell’accordo fra Trump e von der Leyen non sta in piedi. Quanto agli investimenti discussi per 600 miliardi di dollari delle imprese europee negli Stati Uniti, in proporzione già l’Italia dovrebbe raddoppiare il ritmo annuo degli investimenti esteri per concentrarli tutti in un solo Paese. Neanche questo sta in piedi. Il presidente degli Stati Uniti così ha già in mano gli argomenti per sostenere che l’Europa non fa la propria parte e tornare a minacciare ritorsioni, non appena lo trovi utile.

Le borse danno qualche indicazione su come è stato interpretato l'accordo dagli operatori dei vari settori: perdono i titoli dell'industria delle armi europea, mentre salgono quelli dell'industria delle armi americana (l'Ue si è impegnata a comprare armamenti dagli Stati Uniti); calano le borse di Francoforte, Milano (che poi chiude in pari) e Parigi; perde quasi tutto l’intero settore dell’auto, che pure dovrebbe beneficiare di tariffe ridotte dal 25% al 15%. E perde anche l'euro, con meno 1,27% sul dollaro.

Le reazioni in Europa

A seconda degli orientamenti politici e degli interessi in campo (qui chi ci perde e chi ci guadagna), l'intesa ha suscitato reazioni differenti, talvolta opposte tra i diversi Paesi europei, i cui rappresentanti sono rimasti in stretto collegamento con la presidente della Commissione, prima e dopo l’incontro con Trump. Mentre i funzionari dell'Ue affermano di aver scongiurato un disastro economico totale, la Francia è molto critica e sostiene che l'accordo è «squilibrato» e che l'Unione non ha fatto tutto il possibile. «È un giorno buio quello in cui un'alleanza di popoli liberi, riuniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, si rassegna alla sottomissione» ha scritto il primo ministro François Bayrou (mentre il presidente francese Emmanuel Macron significativamente tace). Più cauta, ma comunque delusa, la Germania: «Non sono soddisfatto di questo risultato, ma penso che non fosse possibile ottenere di più tenendo presente la posizione di partenza che avevamo con gli Stati Uniti d'America. Sappiamo che l'economia tedesca subirà un danno considerevole a causa di queste tariffe», ha dichiarato il cancelliere tedesco Friedrich Merz. «Sostengo l'accordo commerciale ma lo faccio senza alcun entusiasmo» dice invece il premier spagnolo Pedro Sanchez. E molti altri Paesi rimangono titubanti, mentre gli economisti ritengono che l'accordo sia pericolosamente vago (la maggior parte dei commentatori, come ha raccontato Luca Angelini nella newsletter Rassegna, considera il «deal» una capitolazione europea).

E in Italia

«Giudico positivamente che si sia raggiunto un accordo perché una escalation commerciale avrebbe avuto conseguenze imprevedibili e potenzialmente devastanti» commenta la premier italiana Giorgia Meloni da Addis Abeba, dove si trovava per il summit dell’Onu. E aggiunge che il 15 per cento è una soglia «sostenibile se comprende i dazi precedenti che di media erano al 4,8». E ammette che: «Dopodiché bisogna andare nei dettagli», cioè verificare che settori «particolarmente sensibili come auto e farmaceutica», siano dentro questo 15 per cento, e «le possibili esenzioni su alcuni prodotti agricoli». Meloni inoltre definisce l'accordo «di massima e non vincolante» e avverte che «c’è ancora da battersi». Più caustico il leader della Lega Matteo Salvini: «Sostenibili i dazi al 15 per cento? Chiediamolo alle imprese» dice. Mentre il leader di Forza Italia Antonio Tajani prova a rassicurare: «Il 15 per cento è un dazio alto ma sostenibile, si rischiava un quadro peggiore».

Dura l'opposizione. «Quello raggiunto dall’Ue con Trump non è un buon accordo come sostiene il governo Meloni. Ha i tratti di una resa alle imposizioni americane» dice la segretaria del Pd, Elly Schlein, che accusa la premier italiana e altri «governi nazionalisti totalmente subalterni a Trump» per la «linea morbida e accondiscendente che ha minato l’unità europea e indebolito la posizione negoziale dell’Ue». E aggiunge: «Il 15% di dazi senza alcuna reciprocità sulla stragrande maggioranza dei prodotti italiani, unito alla svalutazione del dollaro, porterà a danni superiori ai 20 miliardi di export e a oltre 100 mila posti di lavoro a rischio».

«Crolla il castello di carte di Giorgia Meloni: una premier che, pur di compiacere la Casa Bianca, ha deciso di sacrificare il presente e il futuro di milioni di italiani» commenta il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. «Gli Stati Uniti brindano e Meloni prende atto della dura realtà: da “ponte” con Washington si è trasformata nella “testa di ponte” con cui Trump ha piegato le resistenze dell’intera Europa» chiosa. (Critiche respinte come «isteriche» da Francesco Lollobrigida, ministro FdI dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, nell'intervista al Corriere).

Ancora più duro il leader di Azione Carlo Calenda: «Ursula von der Leyen deve andare via e anche al più presto perché è un’incapace. Mario Draghi non avrebbe mai approcciato un negoziato con Trump come ha fatto lei» attacca, intervistato da Maria Teresa Meli. «Mi sono occupato di politica commerciale, quindi anche di dazi, per dieci anni, da Confindustria e poi dal governo, e non ho mai visto un negoziato così assurdo. Quello che è successo è colpa di Meloni e Merz» aggiunge. «Italia e Germania, per preservare l’automotive, che poi non hanno preservato, hanno spinto per non mettere i contro-dazi. E infatti quando Trump ha messo i dazi provvisori l’Europa non ha reagito con altri dazi e perciò è partita senza avere nulla con cui negoziare. E Von der Leyen domenica si è genuflessa davanti al presidente degli Stati Uniti».

Anche la valutazione di Lucrezia Reichlin nell'editoriale di oggi è severa:
L’accordo è totalmente asimmetrico: l’Europa non ottiene nulla, ad eccezione della promessa di non essere colpita ancora più pesantemente e su questo non c’è alcuna garanzia. Non ne esce meglio dell’ultra conciliante Giappone e fa peggio di una economia molto più piccola e vulnerabile come il Regno Unito. Inoltre, il patto smaschera la ipocrisia di chi, a parole, difende il multilateralismo, ma, di fatto, accetta di siglare un accordo che viola le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). È un’intesa che mostra in modo inequivocabile la sua debolezza.
Si dice che l’alternativa a questo accordo capestro sarebbe stata una guerra commerciale distruttiva per l’economia europea. Ed è certamente vero che è troppo facile criticare senza valutare i costi dell’alternativa, ma sia una strategia pragmatica, perseguita con coesione e lucidità, sia una strategia radicale, basata su accordi con altri Paesi, avrebbero dato risultati migliori di questa disfatta.
L’intesa arriva dopo una serie di miti dichiarazioni pubbliche e deboli tatticismi. Da aprile, ogni volta che l’Unione si è trovata di fronte a una scelta, ha ceduto. Il primo cedimento, ed il grande errore, è stato proprio in aprile, quando ha deciso di non impiegare il suo Strumento anticoercitivo (Aci) per rispondere ai «dazi reciproci» minacciati da Trump e poi, quando questi sono stati temporaneamente sospesi, di non rispondere alle tariffe su acciaio e alluminio e tenersi pronta ad attivare l’Aci. Anche una politica che accettasse — come volevano alcuni Paesi — l’inevitabilità di un accordo asimmetrico per non mettere Trump in difficoltà politica, avrebbe potuto essere più aggressiva. Un migliore equilibrio tra compromesso e minaccia di far saltare il tavolo avrebbe probabilmente portato a un risultato migliore, simile a quello ottenuto da Starmer nel Regno Unito.
Ma la vera domanda è perché l’Europa non abbia scelto di sfidare il bullismo di Trump e di rispondere con una strategia di ritorsione «occhio per occhio» basata su alleanze strategiche con altri Paesi. Perché non una linea assertiva, combinata alla costruzione di un fronte comune con altre aree del mondo, strategia in cui l’Europa avrebbe potuto esercitare una leadership globale per la difesa dei principi del multilateralismo e la cooperazione per la difesa dei beni comuni globali?
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Re: TRUMP E L'EUROPA AD UN PASSO DAL COLLASSO

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Si dice e si dirà tutto e l'opposto.
Faccio solo notare che in questo vociare, non si fa sentire quel politico che ha un ministero, ma che in genere parla di tutt'altro e che in passato aveva chiesto / minacciato dazi ed ha simpatia per Trump.
Zitto zitto.
Certi politici sono così: quando si tratta solo di parlare, parlano.
Quando si tratta di schierarsi su decisioni prese o da prendere, tacciono.
"Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre" - Albert Einstein